
Da DeepSeek al fact-checking: assalto all’informazione?
DeepSeek, fact checking, social network. Negli ultimi tempi il mondo della comunicazione e dell’informazione è finito sempre più spesso sotto i riflettori proprio per il ruolo di punta che svolge nella società contemporanea e per le influenze che esercita sull’opinione pubblica. Un ruolo che risale alla notte dei tempi ma che evidenzia, ancora una volta, quanto sia centrale un settore che gioca una funzione cruciale per le nostre vite.
Il caso DeepSeek. Ne hanno parlato a lungo tutti i media mainstream: l’app, ideata da una startup cinese, è un modello avanzato di intelligenza artificiale generativa, che potrebbe lanciare la sfida all’oramai usatissima ChatGpt. Anche con DeepSeek, tramite chatbot, gli utenti possono chiedere informazioni e ricevere risposte. Il chatbot cinese ha provocato allarme a Wall Street in quanto ha sancito che l’AI generativa non appartiene solo agli USA e che si può ottenere con costi ridotti. Qualcuno parla già di democratizzazione dell’accesso allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, con conseguenze che potrebbero diventare sempre più tangibili anche nella vita quotidiana. Il nuovo modello di intelligenza artificiale ha rapidamente conquistato milioni di utenti ma anche acceso un infuocato dibattito on line. L’allarme è scattato anche perché nell’app di IA ci sono tracce della censura cinese. L’applicazione, inizialmente disponibile anche nel nostro Paese, è sparita dai negozi digitali di Google e Apple in Italia. Il Garante della Privacy ha inviato una richiesta di chiarimenti sui dati raccolti e sul tipo di informazioni usate.
I «nuovi» social. Da potenti strumenti di disintermediazione a cassa di risonanza per una tradizionale comunicazione broadcast. E poi ancora: da strumenti democratici di informazione e comunicazione al pericolo di deriva oligarchica o al rischio di diventare cassa di risonanza di disinformazione. Ma cosa sta accadendo ai social media? Dei rapporti tra politica e social media fino a poco tempo fa parlavamo soprattutto in caso di campagna elettorale, quando il candidato di turno era pronto a sfruttare al massimo le potenzialità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione. Non è più (solo) così. Oggi, sulla scena pubblica, si affaccia prepotentemente la connessione tra politica internazionale e social. Com’è possibile? Partiamo dalla decisione di Zuckerberg – fondatore di Facebook, oggi amministratore delegato di Meta – che ha annunciato l’abolizione del programma di fact checking introdotto quasi dieci anni fa. Una decisione simile a quella presa da Iron Musk, proprietario di X, ex Twitter: i contenuti non saranno più verificati da organizzazioni indipendenti. Il modello adottato è quello Community Notes: con la possibilità, cioè, da parte degli utenti, di scrivere la propria precisazione su un post ritenuto impreciso o disinformato. Una decisione, quella di Zuckerberg, coperta dalla necessità di libertà di espressione, letta dai più (ne ha scritto anche il New York Times) come una mossa di avvicinamento al neo presidente USA Donald Trump che pure con il fondatore di Facebook non era stato proprio in buoni rapporti nella storia recente (Nel 2021 Meta aveva sospeso gli account di Trump).
Ma quanto ci vorrà perché queste novità arrivino anche in Italia? Per adesso le novità non riguardano il territorio dell’Unione europea. Anzi, potrebbero non arrivare mai: lo scorso gennaio l’UE ha precisato che moderazione dei contenuti non significa censura.
A proposito di innovazioni, il portavoce di Trump ha annunciato importanti novità: creatori di contenuti TikTok, blogger e podcaster potranno richiedere le credenziali stampa alla Casa Bianca. Un nuovo segnale di apertura nei confronti dei social.
Il fact checking. Quanto sta accadendo riaccende il dibattito sul tema del fact checking e pone subito una domanda: il sistema di verifica dei contenuti postati on line funziona realmente?
La questione è una: i social nascono principalmente come intrattenimento ma sono diventati con il passare del tempo molto più importanti di un semplice diversivo per l’impatto sociale che portano con sé. Tra l’altro, numerosi studi hanno evidenziato come le fake news riescano a diffondersi più velocemente delle notizie verificabili e come le pratiche di fact checking portino a una polarizzazione maggiore: quando un contenuto viene etichettato come falso, gli utenti che lo condividono tendono a percepirlo come un attacco alla libertà di espressione.
«L’assalto all’informazione e alla democrazia». Una fuga dai social. Negli ultimi giorni sono diverse le persone, personaggi famosi e organizzazioni che decidono di prendersi una pausa dal mondo social.
«L’assalto all’informazione e alla democrazia è solo all’inizio» – ha scritto Arianna Ciccone, fondatrice del sito Valigia Blu e fondatrice dell’International Journalism Festival, nell’annunciare l’addio ai social da parte del sito di approfondimenti tematici sostenuto solo grazie al crowdfunding. Di qui una nuova proposta: «Dobbiamo ricostruire spazi di conversazione dove siamo noi ad avere il controllo». Spazio, dunque, a una newsletter, ai vecchi blog, ai canali Telegram e alla decisione di appoggiarsi a social come BlueSky, Mastodon e LinkedIn.
Il Fediverso. In parallelo si comincia a parlare di Fediverso, l’alternativa all’internet delle cosiddette big tech: si tratta di spazi digitali decentralizzati che consentono all’utente di avere un maggiore controllo dei propri dati e che sono basati su software open source. Che sia questo il futuro del web?